Àgape*

* Dal greco ἀγάπη, amore disinteressato, fraterno, smisurato.
Tradotto dai latini in
caritas, con cui i cristiani indicavano l’amore di Dio.
Da non confondere con
eros, l’amore carnale, o con philia, l’amore per i figli.

 

Anelo l’esistenza. Raccapriccio all’idea che per te
la vita sia solo passaggio di tempo, di corpo
nel corpo, precipizio privo di principio.

Se la vertigine fosse sentire comune, nessuno
oserebbe sporgersi al di sopra dei monti,
prendere la rincorsa e spiccare il volo.

Se il giudizio divino fosse vivo e vegeto,
nessuno potrebbe avere il coraggio
di sfidare il suo cielo, precipitando

godersi la resa degli avvoltoi
su questo impaurito paesaggio di carne,
dicendo “ecco: il vuoto persiste perché lo volete voi”.

Se una cosa mi è chiara, in questo grigio
sfiorire, è che bisogna, per amare,
amarsi parecchio e bene, con disinvoltura,

senza la paura di svegliarsi, un giorno,
privati dell’abbraccio di una simile passione;
bisogna, in conclusione, odiare molto e bene,

per amare.

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Lotta infinita

A un referendum per l’indipendenza catalana
somiglia il mio amore.
“Io sarò libero e indipendente”, dice sempre.
Allora perché, quando la vedo,
mi tremano ancora le gambe?

A un referendum per l’indipendenza catalana
somiglia il mio amore.
“Non avrai altro amore all’infuori di questo”,
dice a sé stesso,
“non avrai un altro amore più grande del mio”.

Eppure è osteggiato, incostituzionale,
impedito, ha il volto insanguinato
e due o tre dita rotte, però resiste
nel 93% degli aventi diritto

ed è terribile, ed è atroce, è una lotta infinita,
ed è tutta la mia vita, che non si esaurisce,
mai

(spoken word e montaggio: Ivo De Palma)

L’eterno

«Siamo lo scarto di uomini illustri
siamo singoli vestiti da tutti;
siamo poesie congelate su mari di amianto
siamo uomini e chiese in rovina;
siamo le crepe dello Stato dispotico
siamo poveri che servono al tavolo.
– Ora: grida pure quanto vuoi,
di meglio non avrai, nascosta e tremula
verrà la notte, spegnerà i sogni distopici,
riaccenderà la voglia di abbracci,
unirà il vessillo della mantide
e l’ultimo bacio del mio capo
mozzato ed ebbro

di te;

uniti in matrimonio, fedeli a dio, a satana,
al figlio inconsulto di un tempo ramingo
– crescerà sui vostri sbagli! – ancora
più forte, viziato, invincibile
e non avrà remore: niente
per cui vivere

e niente

per cui

morire».

Noi siamo singoli siamo unici siamo il solo
pensiero incontestabile e malato
noi siamo l’edera  l’ipo-vedenza
albero spoglio d’inverno uccello sull’astro
plebe unta e affamata
nudità fradicia  postilla scomoda
***nuovi stilemi*** allucinata allitterata e lucida
modernità

cuore di iena

opera inutile gonfia di boria
perenne fiasco  sola vittoria
sopita vita di un gingillo da pozzanghera
Europa liquida nelle catene-ristoranti
del nord-Italia  autobus a coda
ora araldica seria, preziosa

veleno, offesa

salute ignobile, igiene cimice
di un germe piccolissimo-borghese
che è già morto, sta scomparendo
e come tutti gl’onesti disonesti
adesso piange lacrime e zucchero:
guance caramellate tentano
l’Eterno

Esasperiamo picchi di stelle
uccelli cantanti sciorinano in basso
la macchina celibe di diamante e di quarzo
il sorriso del cosmo pare schiudersi sopra di noi,
che siamo cieli appestati di luce filtrata da ozono
seconda soltanto allo smog, all’industria
«ho preso quel che c’era da prendere»
«ho cancellato la parte delebile»
«ho riportato, ho fatto tesoro, Tesoro»
ho ricondotto il mio passo all’origine
ho reso quotidiano lo straordinario
provvisorio l’Eterno
e sono sopravvissuto
a questo perenne delirio circolare
ho recalcitrato il bisogno d’amore e ora,
così vuoto e silenzioso, così buio,
serio e nefasto somiglio al nero più nero
al decesso per eccesso di azoto
al freddo della galassia intera

Mai più dal basso, mai più di questa terra
sarà la mia lotta volgare e disperatissima
inutile esistenza d’una stella
egocentrica-solipsistica-mente
che unisce l’utero alla natura
l’Universo al meccanismo
ma ciò che colpisce, oh mia cellula
sventurata e decomposta
è la mia totale indifferenza o devozione
a durare più d’un quarto d’ora scarno
– ho preso le ninfee dal comodino
ho tirato le cinghiate di cuoio
e le ho riportare in alto,
incastonate nel cielo bastardo
preso da incubi ed echi lontani
– fino a farmi sperare di essere
avaro di sogni, chiuso nel mio
solo pezzetto di mondo
adornato soltanto da piaceri
e schifosi bisogni binari
odiando tutto ciò che è fuori
per umana viltà o rassegnazione
preferendo alla luce il riflesso
e il gelido abbraccio del mostro:
l’unica cosa che sempre perdura
– la mia dannazione.

 

 

Artwork: Joe Webb
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LeParole – Le Lodi Dell’insipienza

Video: Filippo Braga
Voce narrante, testo e regia: Davide Galipò
Composizione, chitarra, drum machine e suoni: Toi Giordani
Synth e piano: Lorenzo Mariano
“Cavalli”: gregge in piazza Verdi, Bologna

Volontà di vivere (2016) è scaricabile qui.